Le cinque grandi dimensioni della personalità di chi ci circonda

Già nel 1993 viene postulata  dagli studi identificativi di una Teoria pratica formale, creando così le cinque grandi dimensioni caratteriali, anche se la storia scientifica teorica ha in se molti studi a riguardo, il quale hanno dato la grosse linee guida agli stessi risultati. Le cinque grandi dimensioni nella personalità sono:  l’estroversione-introversione; gradevolezza-sgradevolezza;  coscienziosità-negligenza; nevroticismo-stabilità emotiva; apertura mentale-chiusura mentale.

Nel 1936, seguendo il lavoro di Franziska Baumgarten in Germania, Gordon Willard Allport e Henry Sebastian Odbert condussero un primo studio lessicale basandosi sul dizionario Webster (il più comprensivo dizionario inglese in quel periodo) sui termini rilevanti per la descrizione della personalità. Inclusero tutti i termini che potrebbero essere usati per «distinguere il comportamento di un essere umano da quello di un altro».

Nel 1947 Hans Eysenck propose un approccio fattoriale che identifica le dimensioni caratterizzanti, le differenze individuali attraverso analisi statistiche di tipo fattoriale.

Indipendentemente sempre negli anni ’40 sia Raymond Cattell che Donald Fiske assumendo il vocabolario della lingua quotidiana come un serbatoio di descrittori delle differenze individuali, utilizzarono l’analisi fattoriale per esplorare lo studio lessicale svolto da Allport e Odbert.

Nel 1958 Ernest Tupes e Raymond Christal proposero un primo modello a cinque fattori presso la base aeronautica di Lackland in Texas, ma non raggiunse ricercatori e scienziati fino agli anni ’80

Di fatto poi almeno quattro gruppi di ricercatori hanno poi lavorato indipendentemente sui tratti della personalità a partire dal linguaggio e hanno identificato principalmente gli stessi cinque fattori: Tupes e Christa, Goldberg presso l’ Oregon Research Institute, Cattell presso l’Università dell’Illinois e Robert R. McCrae e Paul T. Costa che sviluppano un modello basandosi sul lavoro precedente di Warren T. Norman .

Questi quattro gruppi di ricercatori hanno utilizzato metodi leggermente diversi per individuare le dimensioni di personalità, questo si è tradotto in definizioni diverse dei cinque tratti.

La teoria dei Big Five è un modello tassonomico che descrive la personalità attraverso cinque fattori o “tratti”, intendendo per “tratti della personalità” delle modalità di pensiero, di attivazione emotiva e di comportamento piuttosto stabili nel tempo.

Queste cinque dimensioni non rappresentano una specifica prospettiva teorica, ma derivano dalla cosiddetta “ipotesi lessicale” che suggeriva che i tratti fondamentali della personalità umana venissero codificati e sedimentati nel linguaggio.

Si può considerare il modello a cinque fattori un paradigma dominante nella ricerca sulla personalità. Questa teoria ha portato a riformulazioni nuove e convincenti dei disturbi della personalità che hanno influenzato il DSM-V verso l’introduzione di una prospettiva dimensionale.

Questi tratti di personalità sono concepiti come costrutti bidimensionali, posti in un continuum, alle cui estremità si trovano caratteristiche opposte. In letteratura i cinque tratti vengono definiti in modi diversi. Nella misurazione italiana attraverso il Big Five Questionnaire-2 (BFQ-2) ogni dimensione è articolata in due sottodimensioni.

Tali dimensioni sono state individuate a partire da studi psicolessicali, secondo i quali l’uomo ha codificato in forma verbale tutte le esperienze significative per la comunità, comprese, in questo caso, parole che si riferiscono alle differenze individuali: le cinque dimensioni elencate, quindi, corrisponderebbero alle macro-categorie più usate, nel linguaggio, per descrivere le diversità tra individui.

Tali test vengono utilizzati per la ricerca del personale nelle aziende e spesso adoperata per la valutazione della personalità nei contesti organizzativi, per l’attendibilità offerta da questa tipologia di test, detti “obbiettivi”. La validità convergente dello strumento di misura basato su questa teoria è confermata dal fatto che essa è una sintesi di tutti gli strumenti di misura sopra citati.

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