Divieto in Italia al diritto di manifestare…

In italia comincia tutto dall’espressione articolo 21,  nasce dal fatto che la Costituzione italiana dedica appunto l’articolo 21 alla libertà di stampa(di parola e opinione), ma ha assunto soprattutto nel linguaggio giornalistico, il significato “per antonomasia” di libertà di espressione e di informazione, analogo a quello che nel mondo anglofono ha il Primo Emendamento alla Costituzione statunitense. Il fenomeno si è accentuato da quando un gruppo di giornalisti e uomini politici hanno costituito l’associazione “articolo 21, liberi di…” , nei cui congressi hanno svolto ruoli importanti personaggi della notorietà del mondo giornalistico, tipo Enzo Biagi e politici tipo Romano Prodi . L’associazione svolge un ruolo importante come interlocutore delle istituzioni.

« Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo di ogni effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni. »

L’articolo 21 e internet

La Legge 7 marzo 2001, n. 62 Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali stabilisce che Per «prodotto editoriale», ai fini della presente legge, si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici.

Stando alla lettera di tale norma vi era una corrente di interpreti, cui, secondo La Repubblica aderiva anche il sottosegretario Vannino Chiti, che riteneva che il mondo web sarebbe rientrato pienamente nella norma con una vasta applicazione del principio di una larga concezione di che cosa sia un “giornale on-line”, con l’importante conseguenza che ogni sito avrebbe dovuto avere un “direttore” iscritto all’Albo dei giornalisti o dei pubblicisti.
Un certo seguito di tale posizione si era avuto anche in ambienti giornalistici, ma un forte movimento di opinione sostenne che con tale interpretazione la nuova Legge violava l’articolo 21 della Costituzione. Un deciso intervento venne anche dal proponente, il deputato Giuseppe Giulietti, presidente peraltro proprio dell’Associazione “Articolo 21”, fino a che il sottosegretario Chiti, intervenne chiarendo le sue prime dichiarazioni e indicando i precisi limiti della legge: nessun sito che precedentemente non avesse già l’obbligo di essere considerata “testata giornalistica” avrebbe avuto un aggravamento delle formalità di registrazione o di controllo.

Legge Bavaglio, ovvero stupidità al Potere

Il voto alla Camera di Pdl e Lega sulla legge bavaglio più che un attentato alla libertà d’informazione (che c’è, ed è grosso come una casa), rappresenta una fotografia perfetta della stupidità e dell’ignoranza dei nostri governanti. E dimostra come davvero la maggior parte dei frequentatori di Montecitorio e Palazzo Madama utilizzi la Rete, i Pc e gli IPad solo per giocare a carte o visitare siti raffiguranti immagini di belle signorine.

Mentre il Titanic Italia viaggia spedito vesto il disastro, i nostri eroi hanno infatti deciso che qualsiasi tipo d’intercettazione potrà essere pubblicata solo dopo un’udienza filtro nel corso della quale accusa e difesa decideranno cosa tenere e cosa buttare al macero. Cioè dopo anni dall’inizio di un’indagine.

Anche quando i colloqui saranno riportati all’interno di un’ordinanza di custodia cautelare, il giornalista non potrà né riprodurli, né citarli, né riassumerli. Se lo farà scatteranno sanzioni pesantissime per lui e per l’editore. Si arriverà così al paradosso di leggere articoli in cui si racconta che Tizio è stato arrestato per estorsione, per traffico di droga o per tangenti, senza però poter capire il perché. O almeno senza essere in grado di farlo quando l’inchiesta è basata anche su intercettazioni.

Se poi un avvocato vorrà pubblicizzare dei colloqui agli atti che, secondo il suo punto di vista, dimostrano l’innocenza del proprio assistito si vedrà la strada sbarrata. I movimenti di opinione che spesso servono per difendere gli indagati da eventuali soprusi da parte dell’autorità giudiziaria insomma non avranno più spazio.

Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con il web può capire che questa norma, ideata per evitare che gli elettori vengano a conoscenza dei comportamenti della classe dirigente più corrotta e inefficiente d’Europa, è però destinata a rivelarsi non solo inutile, ma addirittura pericolosa e controproducente (sopratutto dal punto di vista del Palazzo).

Vediamo perché.

Nella maggior parte dei casi i documenti giudiziari (intercettazioni comprese) che finiscono sui giornali, o che vengono riassunti dalla stampa, sono pubblici. Si tratta di atti non più coperti da segreto che vengono consegnati alle parti (agli avvocati e agli indagati) in occasioni di perquisizioni, arresti, tribunali del riesame. Sono insomma carte che possono circolare liberamente, visto che in Italia il segreto istruttorio è stato abolito nel 1989 e oggi l’unico segreto rimasto in vigore è quello investigativo.

Ora immaginatevi cosa accadrà in casi come quelli di Giampaolo Tarantini, il giovane imprenditore di Bari sotto inchiesta per favoreggiamento della prostituzione e arrestato perché accusato di aver ricattato Silvio Berlusconi. Le indagini su di lui si basano principalmente su intercettazioni: colloqui ritenuti rilevanti dai magistrati al punto di essere riprodotti nelle ordinanze di custodia o negli atti depositati per chiederne il rinvio a giudizio.

Quando il Bavaglio sarà in vigore i giornalisti continueranno a ritrovarsi in mano le trascrizioni delle sue chiacchierate, le potranno far leggere ai loro amici, o consegnarle in copia al loro portinaio, vicino di casa o edicolante (e nessuno li potrà perseguire per questo). Per legge però non le potranno nemmeno citare di sfuggita nei loro articoli. E non lo potranno fare anche se sono dievidente interesse pubblico (abbiamo un premier ricattato? oppure il nostro presidente del Consiglio paga testimoni e indagati per evitare che venga fatto il suo nome davanti ai giudici?). E lo stesso succederà in inchieste per tangenti (vedi quelle sulla cricca del G8), sulla malasanità (vedi clinica degli orrori) e via dicendo.

Ebbene c’è qualche parlamentare del centrodestra, ancora in grado di usare il cervello, convinto che le ordinanze di custodia cautelare e le intercettazioni alla base di queste inchieste, una volta depositate, non finiranno per essere pubblicate sul web da testate estere o da siti anonimi magari ospitati da inaccessibili server situati in Paesi off shore? L’esperienza di Wikileaks non ha insegnato nulla ai nostri astuti legislatori?

Evidentemente no. Perché se avesse insegnato qualcosa almeno alla Camera sarebbe stata fatta un’ulteriore riflessione. Qualcuno avrebbe, per esempio, ragionato su un fatto: oggi non tutti i documenti raccolti nelle redazioni dei giornali finiscono in Rete o in pagina.

Lo dimostra, tra l’altro, un caso che lor signori dovrebbero conoscere bene: l’inchiesta sui furbetti del quartierino. Nel 2005 quando le intercettazioni evidenziarono di che pasta fosse fatto il governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, e quali manovre politico-finanziarie si giocassero intorno alle banche, i cronisti non pubblicarono i colloqui – anche molto divertenti – tra alcuni protagonisti delle scalate e le loro rispettive amanti. La storia d’interesse pubblico era infatti quella sui ladrocini, non quella delle eventuali corna di un gruppo di manager. E quando un quotidiano mise in pagina un sms (piuttosto innocuo, per la verità) tra i novelli sposi Anna Falchi e Stefano Ricucci, fu punito con una multa salata da parte del Garante della privacy. Un provvedimento che servì a ricordare a tutti cosa prevede la deontologia professionale di chi scrive.

Essere giornalisti infatti vuol dire saper raccontare storie (vere) selezionando e gerarchizzando i fatti. Non tutto è una notizia. E non tutto ha interesse pubblico. Lo spazio di un articolo, giornale o di un tg non è infinito. Per questo bisogna saper scegliere, con onestà e correttezza, cosa mandare in stampa e cosa no. I lettori poi valuteranno i giornalisti anche sulla base di questa loro capacità. E se qualcuno si riterrà diffamato, o riterrà violata la propria privacy, potrà chiedere (e ottenere se ha ragione) un risarcimento.

Difficile però pensare che domani, con la legge Bavaglio in vigore, le maglie di questa selezione non si allarghino: con la prospettiva evidente che sul web ci finisca davvero di tutto.

Sia perché il concetto di privacy varia da paese a paese (ricordate le foto di villa La Certosa messe on line da El Pais e invece finite sotto sequestro in Italia?), sia perché nel caso di documenti o articoli pubblicati da siti per così dire anonimi, il pericolo è che i criteri di scelta vengano a mancare. L’opacità, la non trasparenza favorisce infatti la deresponsabilizzazione.

Per questo il Bavaglio, come tutte le leggi ingiuste, è stupido. E diventa la cartina di tornasole che permette anche di capire perché il nostro Paese sia ormai passato dal declino alla decadenza. Una classe dirigente capace d’ideare norme del genere, non può che essere sulla tolda di comando di un Titanic. Che non cambierà rotta. Fino al naufragio.

Ps: Ma cosa faremo noi de Il Fatto e de ilfattoquotidiano.it? Non lanceremo il sasso nascondendo la mano. Non utilizzeremo l’anonimato. Di questo i lettori possono starne certi. Di fronte a intercettazioni che sono notizie, le pubblicheremo. Sopportando tutte le conseguenze e ricorrendo davanti a ogni tribunale: dalla Corte Costituzionale fino ai giudici di Strasburgo. Insomma, come avevamo già scritto il 2 aprile del 2010, la nostra sarà disobbedienza. Disobbedienza civile.

Cos’è la legge bavaglio?

Di Redazione • 27 set, 2011 • Categoria: Italia

Il governo ha nuovamente scongelato il testo del disegno di legge Mastella, passato alle cronache come “legge bavaglio” e contenente il “comma ammazza blog”. La rete, e gran parte delle testate giornalistiche, sono nuovamente in fermento per cercare di manifestare, assieme ai lettori, il loro dissenso e spiegare perché questo disegno di legge non fa bene alla democrazia, al paese e ai cittadini.

Il “Comitato per la libertà e il diritto all’informazione, alla cultura e allo spettacolo” ha organizzato una manifestazione per chiamare in raccolta tutti coloro che non condividono la “Legge bavaglio”. L’appuntamento è per  giovedì 29 settembre, dalle 15 alle 18, presso il Pantheon a Roma.

Cos’è la legge bavaglio?
La “legge bavaglio” è figlia dell’ex ministro di grazia e giustizia, Clemente Mastella, e impone delle restrizioni allo strumento delle intercettazioni da parte dei magistrati. La legge però tocca anche i giornalisti perché a questi sarà vietato pubblicare gli atti di indagine. Il ddl Mastella inoltre non si ferma solo ai professionisti della notizia, ma introduce nuove norme anche per tutti gli utenti internet che hanno un blog o un sito non registrato come testata giornalistica, questi dovranno sottostare ad alcune normative che regolano la stampa.

Come cambiano le intercettazioni?
I magistrati potranno effettuare delle intercettazioni, anche ambientali, per reati che prevedono una pena massima di 5 anni di carcere, per un periodo di tempo massimo di 75 giorni. Sarà possibile prorogare il limite di tre giorni in tre giorni chiedendo l’autorizzazione al Pubblico ministero contrfirmata dal giudice collegiale del capoluogo del distretto. Per i reati di mafia e terrorismo il limite sarà di 40 giorni e la proroga di 20.

La registrazione delle coversazioni
Sarà vietato registrare conversazioni ad insaputa dei propri interlocutori, questo emendamento è stato soprannominato “Emendamento D’addario”, le registrazioni saranno consentite solo ai giornalisti o agli agenti dei servizi segreti.
Se si indaga o intercetta un sacerdote sarà necessario avvisare il vescovo a cui il sacerdote afferisce, se ad essere indagato sarà invece un vescovo, bisognerà comunicarlo alla Segreteria vaticana.

Gli effetti della legge bavaglio sulla stampa
Sarà vietata la pubblicazione delle telefonate e del loro contenuto. Gli atti di indagine, anche se pubblici, potranno essere pubblicati solo in maniera riassuntiva, così come i verbali degli interrogatori. Le intercettazioni potranno essere pubblicate solo dopo la conclusione delle indagini preliminari. I giornalisti che contravverranno a questi divieti pagheranno multe dai 10 ai 100 mila euro. I PM che forniranno alla stampa atti coperti da segreto e dichiarazioni sulle inchieste potranno essere sostituiti.

Cos’è il comma ammazza blog?
Il comma 29, contenuto nel ddl, ha agitato molti blogger che hanno subito soprannominato il provvedimento “comma ammazza blog”. Il comma introduce il “diritto di rettifica” anche per blog e siti non iscritti come testate giornalistiche. In questa maniera chi intende anche solo tenere un diario on line dovrà sottostare ad una delle norme che regolano la stampa italiana. La rettifica deve avvenire entro 48 ore e il blogger che non rettificherà potrà essere condannato a pagare sino a 12 mila euro di multa.

Il parlamento rievoca le leggi speciali. Quale libertà di manifestare in Italia?

October 18, 2011, Ettore Trozzi


Maroni ringrazia per l’assist e si complimenta con Di Pietro (Idv) per quanto riguarda l’introduzione di leggi speciali sulle manifestazioni. “A stato d’emergenza si risponde con soluzioni d’emergenza. Serve una legge Reale 2, alias legge Di Pietro” ha detto il leader dell’Italia dei Valori ai cronisti della Camera. Sorpreso, il ministro dell’interno ha subito preso la palla al volo: “Devo dire che per una volta sono d’accordo con Antonio Di Pietro che oggi (ieri, nda) ha detto che servono nuove norme preventive“.

Lo spezzone pacifico, come del resto lo erano quasi tutti, dei draghi ribelli a Roma il 15 Ottobre. Foto: Ettore Trozzi/iEsperanto.eu

E così dopo il sodalizio a distanza che vede d’accordo Idv e Lega prendo il via le danze sui provvedimenti da scegliere. Nelle scorse ore si è parlato di leggi speciali, provvedimenti ad hoc, di ripristinare la legge reale e chi più ne ha più ne metta. In particolare, il valorista Di Pietro, rispolverando le sue vesti da giudice, prevede “l’introduzione di specifiche previsioni di reato, l’ampliamento dell’associazione a delinquere, la possibilita’ di fermo e arresto in flagranza o in quasi flagranza per reati che finora non lo prevedono, un inasprimento delle pene previste e processi per direttissima“.

Ma come scrive Carlo Lania su Il Manifesto

Il rischio è che l’ordine pubblico diventi il pretesto per un restringimento degli spazi democratici. La legislazione in vigore consente infatti di contrastare con efficacia gli atti di violenza, ma è chiaro che il governo vuole di più.

I provvedimenti bisbigliati della nuova legislatura il daspo alle manifestazioni, vale a dire al divieto di manifestare a tutti coloro che sono stati fermati in precedenza e schedati. Norma che andrebbe contro i più elementari diritti democratici e costituzionali. I motivi per i quali si potrebbe venire schedati, infatti, sono tanti e non servirà rompere una vetrina o bruciare qualche autoveicolo per finire nei registri delle forze dell’ordine. Opporsi in modo pacifico ad una sentenza di sfratto, ad esempio, costituisce “resistenza a pubblico ufficiale”, mentre cercare di accamparsi in una piazza come si sta facendo a Wall Street potrebbe rientrare nella norma che punisce le”manifestazioni non autorizzate”.

Un assaggio delle nuove disposizioni si è visto ieri quando il sindaco di Roma, Gianni Alemanno (Pdl), ha proibito il corteo della Fiom previsto per il 21 Ottobre. Non solo. Il sindaco, non contento di bloccare soltanto il corteo della Fiom, ha previsto un mese di stop generalizzato ai cortei. “Dopo la devastazione di sabato è necessaria una moratoria in attesa che il governo vari nuove regole nazionali per le manifestazioni” ha detto il sindaco. “Sono i romani ad essere veramente indignati per quello che è successo. E meritano una risposta”. Ma la risposta ai violenti gli indignados l’hanno già data Sabato, come ho raccontato ieri. E per quanto i cittadini romani condannino la violenza di pochi, di certo non vogliono vedersi togliere il diritto costituzionale di poter manifestare contro o a favore di quello che vogliono. Specialmente in questi mesi in cui i tagli indiscriminati del governo a sanità, istruzione e mondo del lavoro colpiscono una fascia sempre più ampia di popolazione. Vietare i cortei, parlare di ordine in modo generalizzato (quando si sa che i violenti non erano nemmeno lo 0,2%),  signor Di Pietro, fa il gioco del governo che così si vede porre su un piatto d’argento un’occasione unica: evitare ogni forma di contestazione verso il suo operato.

I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.  Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. (art.17 della Costituzione Italiana)

Ogni cittadino italiano dovrebbe sempre avere il diritto, lo ripeto costituzionalmente garantito, di poter manifestare nelle forme democratiche che preferisce. E tra queste forme ci sono anche i cortei. Vietarli, soprattutto nella Capitale Roma dove si svolgono i più importanti, non è forse un duro attacco a una delle libertà fondamentali? 

Di Pietro e Maroni, invece di evocare la Legge Reale, dovrebbero impegnarsi a capire come evitare che blindati dei carabinieri si esibiscano in gare di velocità in mezzo ai manifestanti.


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